News

Allarme INPS sulle pensioni future: Generazione X a rischio

Il XXI Rapporto annuale presentato di recente simula la situazione pensionistica della Generazione X.

generazione x

L'occupazione in Italia sta tornando sui livelli pre-pandemia, ma rispetto al 2019 il numero delle ore lavorate è in calo. Nel sistema contributivo puro, l’importo della pensione è calcolato partendo dalla somma dei contributi versati e rivalutati durante la carriera lavorativa. Quindi, maggiore è il montante contributivo più alta sarà la pensione. La generazione X, 8,7 milioni di cittadini nati tra il 1965 e 1980, è destinata a subire in pieno le conseguenze negative delle grandi svolte economico-sociali degli anni '90: flessibilità del lavoro e riforma pensionistica. Al compimento dei 65 anni d'età, nel periodo dal 2030 al 2045, a conclusione di una vita attiva di circa mezzo secolo, si ritroveranno con appena 30 anni di lavoro utili ai fini della pensione e con 15 anni di buchi contributivi, cioè persi. A sostenerlo è il rapporto Inps, presentato dal presidente Pasquale Tridico, che mette in evidenza i problemi storici del nostro Paese come le disuguaglianze territoriali e di genere. Ma si spinge anche in previsioni future, come l'esame della situazione previdenziale dei lavoratori di oggi, la cosiddetta generazione X.

Secondo i dati dell'Inps, il montante contributivo, cioè il capitale che il lavoratore ha accumulato nel corso degli anni lavorativi, si riduce progressivamente a causa di carriere lavorative via via meno stabili. In particolare, i nati nel 1980 dovrebbero lavorare circa 3 anni in più per ottenere lo stesso assegno di quelli del 1965; una donna nata nel 1980 deve lavorare cinque anni e otto mesi in più di un uomo del ’65 per raggiungere un’analoga pensione: il calcolo è una media statistica, basata su carriera lavorativa, tipologia di contratto, stipendio e versamenti contributivi della Generazione X.

Per valutare l'effetto di una possibile introduzione del salario minimo proprio su coloro che hanno una contribuzione povera è stata effettuata una ulteriore simulazione, applicando proprio una retribuzione equivalente ai 9 euro l'ora: le differenze in termini di montante si attenuerebbero. Facendo un’ipotesi, al compimento dei 65 anni, con un 30 anni di contributi versati e un salario di 9 euro lordi all’ora, un lavoratore potrebbe avere una pensione di 750 euro. Assegno che comunque risulterebbe più alto dell’attuale trattamento pensionistico minimo. La differenza annua tra i più giovani e i più vecchi ammonta a circa 1.600 euro, che in termini di montante accumulato nella prima fase dell’attività lavorativa (nei primi 15 anni dall’ingresso in assicurazione), si traduce in 19mila euro in meno.

Lateralmente al sistema pensionistico, altre simulazioni pubblicate nel rapporto Inps sono state fatte in materia di incentivi all'occupazione, principalmente attraverso lo strumento della decontribuzione. Il risultato è che la riduzione dell'importo dei contributi per i lavoratori funziona meglio quando l'intervento è mirato (giovani, donne, apprendisti) e non applicato generalmente su un territorio.