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Diritto alla disconnessione: cos’è e come funziona in Italia

Una panoramica su smart working e norme.

assunzioni e profili ricercati

L’utilizzo delle nuove tecnologie ha facilitato la possibilità di essere raggiunti tramite messaggi, mail o altri sistemi in qualsiasi luogo, magari mentre si cena con la famiglia o mentre si torna a casa dal lavoro. Queste tecnologie hanno sicuramente semplificato i compiti e ampliato le possibilità nell’attività lavorativa ma anche introdotto nuovi rischi e problemi, con ripercussioni negative sulla salute. Per questo, sempre più spesso, si parla di Diritto alla disconnessione, ossia della possibilità fuori dal normale orario di ufficio di non essere reperibili, di "staccare la spina" digitale. Soprattutto in questi ultimi anni, con l’emergenza sanitaria che ha costretto tutte le aziende a spingere ancora di più sull’uso degli strumenti digitali e sullo smart working, il diritto alla disconnessione è diventato uno degli argomenti più discussi. Quest’ultimo costituisce a pieno titolo una misura preventiva per tutelare la personalità fisica e morale dello smart worker e del lavoratore in generale. Il diritto alla non reperibilità al di fuori dall’orario lavorativo non è una tematica esclusivamente italiana. Anche al di fuori dei confini nazionali tenere il passo della rapida evoluzione e regolamentare tali aspetti presenta le sue difficoltà. È dimostrato scientificamente che il costante impegno mentale, che non rispetta i ritmi più naturali dell'alternanza pausa e lavoro, può essere profondamente nocivo per la salute.

La situazione in Italia

Il primo accenno normativo alla disconnessione nel nostro Paese risale alla legge 81 del 2017 che regola il lavoro agile, quando all’articolo 19 segnala che l’accordo tra il lavoratore e l’azienda deve prevedere anche “i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro”. Secondo l’articolo 2 del Decreto Legge 30/2021: “I lavoratori hanno «il diritto alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche, nel rispetto degli eventuali accordi sottoscritti dalle parti e fatti salvi eventuali periodi di reperibilità concordati. L’esercizio del diritto alla disconnessione, necessario per tutelare i tempi di riposo e la salute del lavoratore, non può avere ripercussioni sul rapporto di lavoro o sui trattamenti retributivi». Il legislatore ha inoltre precisato l’applicazione nel Decreto Legge 30/2021 ad ogni realtà aziendale, indipendentemente dalla mansione, dal settore produttivo o da qualsiasi altro fattore: in Italia si tratta di un diritto, dunque.

In Italia numerosi gruppi aziendali e grandi imprese, dai colossi bancari alle assicurazioni, dagli operatori telefonici alle società alimentari, hanno inserito nei loro contratti di lavoro il diritto alla disconnessione come frutto di una policy aziendale o di una contrattazione sindacale. Si è arrivati anche a precisare quali siano i momenti dedicati allo stop lavorativo coerentemente con l'orario di impiego, le festività e il riposo giornaliero o settimanale, le ferie o la malattia.

Situazione in Europa

Nel resto d’Europa uno dei primi Paesi a cercare di regolare tramite legge il diritto alla disconnessione è stata la Francia, che nel 2016 con la “Loi du travail” ha espressamente indicato alle aziende con più di 50 dipendenti che il dipendente ha il diritto a disconnettersi al di fuori dell’orario di lavoro, ovvero nel suo tempo libero. In altri Paesi, come la Germania, sono state invece le imprese più grandi e strutturate a regolare il fenomeno con accordi sindacali, come già nel 2010 Deutsche Telekom e Volkswagen. Il diritto alla disconnessione è fondamentale per garantire la produttiva e l’armonia nei team di lavoro.